Nel 2014 un fotografo italiano che vive a Parigi, Ciro Prota, lancio’ una “chiamata” via internet per dar vita ad un progetto, il PROJET192.
Facendo ricerche sul web rimase colpito da un articolo che faceva riferimento agli attentati sui tre treni a Madrid, in cui persero la vita 192 persone.
Penso’ di mettere in piedi un lavoro fotografico per ricordare le vittime, allora fece un appello a chi volesse partecipare, stabilendo 3 regole: le foto dovevano essere in bianco e nero, dovevano contenere al proprio interno un richiamo all’ambiente ferroviario (un biglietto del treno, una rotaia un orario ferroviario ecc) e dovevano contenere il nome di una delle vittime degli attentati, non scritta in post produzione o in modo “virtuale”, ma essere un elemento presente gia’ in ripresa.
Ad ogni fotografo che avesse risposto alla chiamata avrebbe assegnato “un’anima” delle 192. Sarebbe poi stato compito del fotografo costruire il ricordo di quella anima, attraverso proprie ricerche e sensibilita’.
Io venni contattata da un amico fotografo diverso tempo dopo l’inizio del progetto, quando ormai non c’era piu’ molto tempo per realizzare lo scatto. Molti fotografi avevano aderito salvo poi rinunciare. Quindi una seconda chiamata si era resa necessaria per completare il progetto.
Quando mi chiamo’ mi disse: ti chiamera’ Ciro e ti assegnera’ un’anima da ricordare.
Queste parole, subito dopo che avevo detto che avrei partecipato con entusiasmo, mi atterrirono: rendeva l’idea della responsabilita’ di cio’ che si doveva rappresentare, e di quanto questo progetto era emotivamente delicato.
Il giorno dopo ricevetti un messaggio di Ciro, diceva semplicemente: EVA Belen Abad Quijada.
Iniziai a fare qualche ricerca, e la trovai. Eva aveva 30 anni, lavorava come commessa, ma tutte le sere prendeva il treno per Madrid per frequentare la scuola di trucco cinematografico.
Aveva una vita normale, ma sognava altro, uno sguardo sul fantastico, la voglia rappresentare la realta’ come la si vorrebbe, e non solo come e’.
L’ho rappresentata come in una tappa del suo viaggio, e non come alla fine di esso, circondata da immagini
che potessero essere una “realta’ migliore, o almeno serena.
Questo lavoro mi ha fatto riflettere molto, mi ha riempita di considerazioni sulla fotografia, sulla sua valenza di ricordo, ma soprattutto di via di fuga, e di reazione positiva. Quando finita la foto la inviai al projet sono stata per un bel po’ con il dito su “invio” pensando con timore al fatto che avevo costruito un ricordo non mio, che quella immagine sarebbe arrivata anche ai famigliari di Eva, ai suoi affetti. E che tutta la commozione che in un percorso assolutamente individuale che avevo fatto dentro la sua vita, poteva in qualche modo essere “un abuso”, una violazione del ricordo di altri, o semplicemente non essere per niente giusta per Eva.
La Fotografia ha sempre tanti linguaggi diversi al suo interno, tante diverse declinazioni. Ma se ci si sofferma unicamente su tecnica, attrezzatura, regole dei terzi, linee di orizzonte e profondita’ di campo ci si perde il meglio.
Questi sono solo mezzi per veicolare una emozione nel modo giusto, tre regolette che ci servono come la punteggiatura, o la grammatica, in un discorso cosi’ tanto piu’ ampio e coinvolgente, che ignorarlo, per me, e’ un delitto.
Domani e’ l’11 marzo, saranno 15 anni che Eva ed altre 191 persone sono state spazzate via dalla rabbia e dalla assurdita’.
Sono partita da un progetto fotografico, ma sono arrivata a legarmi a qualcuno che non ho mai conosciuto, a cui ogni tanto va il mio pensiero, e che in qualche modo e’ diventata una presenza positiva.
Ecco come LA Fotografia puo’ essere un percorso diverso.
bi [reply:FpYBAA]grazie Yasis
6 anni fa